di Amilcare Mancusi
La procedura esecutiva non assolve la funzione di regolarizzare i beni staggiti, neppure con l’accordo del debitore, non potendosi esigere dal creditore l’assunzione degli oneri e dei rischi connessi a tale operazione.
La valutazione delle condizioni che autorizzano la riduzione del pignoramento resta affidata ai poteri discrezionali di apprezzamento del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità quando – come nel caso concreto in esame – sia stata congruamente e correttamente motivata.
E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, Sezione 3 Civile, con l’ordinanza del 3 gennaio 2023, n. 58, medainte la quale ha rigettato il ricorso e confermato la decisione resa tra le parti dal Tribunale di Bergamo.
La vicenda
Con sentenza n. 759 del 2020, il Tribunale di Bergamo ha rigettato l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., proposta da Cesira Giunone avverso l’ordinanza del febbraio 2018, con cui il giudice dell’esecuzione del medesimo Tribunale, nell’ambito di una procedura di espropriazione immobiliare iniziata da Banca S.p.a., aveva disposto la riduzione del pignoramento, ex art. 496 cod. proc. civ., limitandolo ad un immobile ad uso abitativo con annessa autorimessa (individuato come lotto n. 1) e disponendo la cancellazione del vincolo giuridico su altro immobile costituito da terreni agricoli (individuato come lotto n. 2), con contestuale fissazione della vendita del primo.
Il Tribunale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
– sebbene la debitrice avesse domandato di mantenere il pignoramento soltanto sul lotto n. 2 e sebbene il valore di tale lotto fosse stato stimato in misura più che sufficiente in relazione al valore del credito – tuttavia era risultata fondata l’eccezione della banca creditrice in ordine alla carenza del requisito della continuità delle trascrizioni sui terreni agricoli che costituivano il predetto lotto n. 2, essendo stato accertato, all’esito di CTU, che questi beni immobili erano pervenuti alla debitrice in parte per divisione in parte per successione mortis causa, e che non era stata ancora trascritta alcuna accettazione dell’eredità;
– in ragione di ciò, in funzione della vendita coattiva dei beni pignorati, la banca creditrice avrebbe dovuto previamente ottenere l’accertamento giudiziale, con efficacia di giudicato, della qualità di erede dell’esecutata, con aumento di costi e con necessità di sospensione della procedura esecutiva in corso;
– pertanto, perfettamente rispondente alle esigenze di pronta liquidazione dei beni pignorati appariva il provvedimento volto a mantenere il pignoramento sui beni del lotto n. 1, la cui vendita avrebbe evitato l’aggravio dei costi e il prolungamento dei tempi della procedura.
Avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo Cesira Giunone ha proposto ricorso per la cassazione, sulla base di quattro motivi.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo la ricorrente hadenunciato l’omesso esame di fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. Civ. e dedotto che il giudice dell’opposizione esecutiva non avrebbe preso in considerazione la sua disponibilità a collaborare per sanare il difetto di continuità delle trascrizioni relative al lotto n. 2, onde consentire la riduzione ad esso del pignoramento e procedere alla sua vendita.
Ha evidenziato di avere, nella prima memoria di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., in replica all’eccezione di difetto di continuità delle trascrizioni sollevata dalla banca creditrice, chiesto darsi seguito alle necessarie correzioni catastali, al fine di sanare questo difetto.
Ha sostenuto che, in ragione di tale sua disponibilità, il giudice sarebbe stato tenuto a concedere termine affinché le parti procedessero alla trascrizione dell’acquisto mortis causa (trascrizione da ritenersi sempre possibile sino alla vendita definitiva dei beni), mentre la creditrice non avrebbe dovuto munirsi di alcun accertamento giudiziale sulla sua qualità di erede, cosicché la richiesta riduzione del pignoramento al lotto n. 2 avrebbe potuto essere disposta senza pregiudizio del creditore e senza che questi andasse incontro ad oneri processuali e a costi aggiuntivi.
Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 484, 485, 175, 101 cod. proc. civ., nonché 111, secondo comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente ha dedotto che il giudice dell’esecuzione, dopo aver preso atto della sua richiesta di mantenere il pignoramento soltanto sul lotto n. 2 e dell’eccezione sollevata al riguardo dalla banca creditrice, avrebbe dovuto rilevare in udienza il difetto di prova dell’appartenenza del bene pignorato all’esecutato, per poi stabilire, nel contraddittorio tra le parti, le modalità e i termini per sanare il difetto di continuità delle trascrizioni.
Ha sostenuto che, invece, la diversa condotta del giudice diretta a disporre la riduzione del pignoramento al lotto n. 1, senza suscitare il contraddittorio delle parti, sarebbe stata contraria alle prescrizioni di cui agli artt. 484 e 175 cod. proc. civ., nonché ai principi sanciti dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11638 del 2014.
Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del principio di buona fede e dell’art. 2 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. Civ.
La ricorrente ha evidenziato, per un verso, che il bene ricompreso nel lotto n. 1 rappresentava l’unica abitazione in cui ella dimorava insieme all’anziana madre; per altro verso, che la vendita dei beni compresi nel lotto n. 2 non avrebbe recato alcun pregiudizio alla banca creditrice, avendo un valore (stimato dal CTU in oltre 176.000 Euro) superiore a quello (di circa 114.000 Euro) attribuito dal medesimo CTU al lotto n. 1.
In tale situazione – e considerata altresì l’entità ridotta del debito di fronte al valore dei beni staggiti – la condotta del debitore procedente, che aveva insistito per conservare il vincolo sul lotto n. 1 anziché sul lotto n. 2, come da lei richiesto, avrebbe dovuto ritenersi contraria al principio di buona fede e lesiva dei doveri di solidarietà sociale costituzionalmente rilevanti.
La decisione in sintesi
La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 58 del 2023, ha ritenuto i motivi in parte inammissibili e comunque non fondati e ha rigettato il ricorso con conseguente conferma della decisione impugnata.
La motivazione
Quanto al primo motivo il Collegio ha ricordato che “la valutazione delle condizioni che autorizzano la riduzione del pignoramento resta affidata ai poteri discrezionali di apprezzamento del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità quando – come nella specie – sia stata congruamente e correttamente motivata” (Corte di cassazione, 03/04/1979, n. 1919; Corte di cassazione, 16/01/2006, n. 702).
Ciò vale, ovviamente, anche – e precipuamente – in ordine alle scelte volte a concentrare e conservare il vincolo esecutivo su taluni beni anziché su altri, venendo in considerazione una valutazione di merito sulle ragioni che giustificano la riduzione.
Non sussiste alcuna lacuna motivazionale poiché, al contrario, il Tribunale ha dato conto in maniera argomentata delle ragioni di rigetto dell’opposizione.
Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, il giudice del merito non aveva, nella fattispecie, l’obbligo di motivare sulla sussistenza o meno della dichiarata disponibilità alla cooperazione del debitore esecutato in funzione della sanatoria del difetto di continuità delle trascrizioni, avuto riguardo, per un verso, al ricordato carattere discrezionale dell’apprezzamento, riservato al giudice dell’esecuzione, delle condizioni che autorizzano la riduzione del pignoramento e delle scelte relative ai beni sui quali deve essere conservato il vincolo esecutivo.
Per altro verso, va considerato che la procedura esecutiva non assolve la funzione di regolarizzare i beni staggiti, neppure con l’accordo del debitore, non potendosi esigere dal creditore l’assunzione degli oneri e dei rischi connessi a tale operazione.
Quanto al terzo motivo, il Collegio ha ribadito che il processo esecutivo non assolve alla funzione della regolarizzazione dei beni pignorati, non potendosi onerare il creditore, quand’anche vi sia la sollecitazione o la disponibilità del debitore, dell’assunzione dei relativi costi ed oneri.
Inoltre, non è appropriato il richiamo operato dalla ricorrente ai principi affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 11638 del 2014.
Questa sentenza, nello statuire che il creditore, in procedura immobiliare su bene di provenienza ereditaria, possa richiedere a sua cura e spese la trascrizione dell’atto posto in essere dal debitore esecutato che comporta l’accettazione tacita dell’eredità, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento (ripristinando così la continuità delle trascrizioni, purché prima dell’autorizzazione alla vendita), non autorizza affatto una indefinita protrazione dei tempi del processo esecutivo, ma, anzi, postula che il creditore si assuma il rischio di vedersi dichiarata estinta la procedura ove non sia regolarizzata la documentazione prima della fissazione della vendita.
Del tutto correttamente quindi il giudice dell’esecuzione, come è accaduto nella specie, ha concentrato – riducendo il pignoramento con esclusione dell’altro – il prosieguo della procedura esecutiva su quello, tra i due lotti, che non esponeva il creditore al predetto rischio: non potendo farsi carico a quest’ultimo dell’irregolarità nella continuità delle trascrizioni dell’altro bene pure pignorato.
Quanto al quarto motivo il Collegio ha osservato che il Tribunale ha rigettato l’opposizione, condividendo il rilievo del Giudice dell’esecuzione – che costituisce giudizio di merito avente carattere discrezionale in quanto rientrante nell’insindacabile apprezzamento delle condizioni della riduzione del pignoramento – secondo cui il lotto n. 1 era l’unico bene idoneo al soddisfacimento dell’esigenza di pronta liquidazione dei beni pignorati, posto che il lotto n. 2 presentava problemi di regolarità catastale e carenza di continuità delle trascrizioni.
Alla luce di questo rilievo – che, in quanto debitamente motivato, resta insindacabile in sede di legittimità – deve escludersi in radice che il contegno della creditrice procedente (che aveva richiesto la vendita dei beni compresi nel lotto n. 1), potesse essere ritenuto contrario al principio di buona fede e lesivo dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.: tali doveri non possono infatti tradursi nell’imposizione di oneri o di rischi esorbitanti rispetto al diritto di credito riconosciuto nel titolo azionato e spettando al legislatore il contemperamento degli interessi eventualmente in conflitto nell’espropriazione (cfr., in tema, Corte di cassazione, 10/06/2020, n. 11116; Corte di cassazione, Sez. Un., 14/12/2020, n. 28387); ciò che, del resto, è in concreto rimesso almeno a seguito della rimodulazione dell’istituto della custodia a tutela delle aspettative del debitore a permanere il più possibile nella casa di abitazione, in contemperamento della altrettanto primaria esigenza dell’ordinamento di garantire l’effettività della tutela del diritto di credito.
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